Masha Fedele

Perché Facebook sarà destinato a morire

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Facebook sarà destinato a morire? Andando avanti di questo passo sì, e cerchiamo di capirne il perché.

 

Stiamo ovviamente parlando del social medium più utilizzato al mondo, quello che lo scorso 27 giugno ha raggiunto i 2 miliardi di utenti iscritti alla piattaforma e che dal suo lancio ha continuato a registrare una crescita esponenziale in termini di fruitori, utilizzo e fatturato.
Perché dunque questa affermazione?

Se guardiamo puramente i numeri, 3.7 miliardi di persone in tutto il mondo hanno oggi accesso ad una connessione internet e considerato che tra loro circa 700 milioni si trovano in Cina dove Facebook è vietato, risulta che almeno 2 persone su 3 tra gli internauti siano iscritte a Facebook. Eppure, nonostante le statistiche parlino ancora di impatto colossale e di continua crescita del volume d’affari generato dal Social, un campanello d’allarme c’è, e questo campanello è dato dall’uso che gli utenti fanno di questa piattaforma.

In che senso?

Nel senso che nonostante la dimensione ed il suo numero di iscritti, la maggior parte delle persone sta iniziando a non utilizzare più il social nel modo per cui è stato concepito, ovvero la condivisione di contenuti.

Vi siete accorti che sempre più spesso Facebook cerca di coinvolgervi invogliando la condivisione di video da lui creati con le vostre foto per farvi sentire importanti, invitandovi a scrivere quanto vi è accaduto durante la giornata, a condividere anniversari di amicizie, avvenimenti, notizie che voi stessi avete scritto nel corso del tempo?

Questo accade perché se è vero che il 66 per cento degli utenti mensili ritorna ogni giorno nel social, una percentuale sempre più alta tra loro non pubblica. Persone che di fatto sono “social” ma che non si creano un “network.

Inoltre gli adolescenti iniziano a preferire altri media, per cui la popolarità di Facebook è in netto calo rispetto a Instagram, Snapchat ed altre applicazioni di instant messaging.

A cosa è dovuto questo calo di partecipazione?

Le cause se vogliamo sono molteplici e le potete trovare nel mio articolo “Perché Facebook ci piace sempre meno”, ma il motivo principale che – suo malgrado – sta favorendo la diaspora degli utenti verso altri internet-luoghi decretandone la morte del social è lui: l’algoritmo di visibilità o edgerank.

L’edgerank è l’algoritmo che Facebook utilizza per determinare ciò che deve apparire – e con che ordine – sulla nostra timeline nel momento in cui apriamo l’applicazione. È quella formula matematica che stabilisce quale tra le nostre connessioni è la più importante per farla apparire più frequentemente e quali sono i contenuti che dobbiamo vedere per primi in base alle preferenze che abbiamo manifestato attraverso il nostro comportamento in rete (click, condivisioni, like, commenti).

Chiaramente se Facebook sceglie per noi è perché – dice lui – vuole “offrirci un’esperienza migliore”, e quindi mostrarci per prime le cose di nostro interesse. Di fatto accade che quando noi mettiamo un like, seppur per sola cortesia, Facebook determina che a noi questa persona interessa, ed è per farci vivere questa “esperienza migliore” che inizia a proporci i suoi aggiornamenti a discapito di altre notizie per noi più rilevanti. Questo vale anche per le pagine, per i video e per tutto quello che si presume – spesso erroneamente – ci possa interessare.

È per questo che si sentono sempre più spesso critiche alla piattaforma, lamentele che riportano una decadenza in termini di contenuti, dovuta al fatto che l’edgerank sceglie non solo quando dobbiamo essere profilati per essere destinatari di un banner pubblicitario, ma anche per le relazioni che dovremmo vivere.

Quindi l’algoritmo creato per farci avere un’esperienza migliore (ma lasciatemelo dire: anche per monitorare, profilare le nostre preferenze e rivenderle sul mercato)  si sta rivelando la vera spada di Damocle per lo stesso Facebook.

Facebook nasce come social, ma prima di tutto è una società, una società quotata in borsa che in quanto tale deve sottostare a delle regole di mercato. Il meccanismo regge quando si riesce a generare profitto ed il profitto si trae dalle aziende che investono per promuovere se stesse, i loro prodotti o i loro servizi, e se le aziende investono lo fanno solo perché sulla piattaforma c’è una digital audience da urlo: due miliardi di persone!

Le aziende più perspicaci l’hanno capito e stanno investendo, per cui oggi la crisi sul social non c’è, ma se le stesse persone per cui queste aziende investono dovessero stancarsi di questo luogo pervaso da contenuti sempre più fiacchi o beceri, notizie di basso livello, post di amici che si comportano da ‘bimbiminkia’, di ‘buongiorno mondo-buonasera e buonanotte‘, volgarità, foto piene di stickers e grafiche fatte con i piedi, decidessero di migrare altrove?
A quel punto le aziende sarebbero ancora disposte ad investire in pubblicità all’interno di un social che si sta svuotando? La risposta è “no”, e se non ci saranno dei cambiamenti sostanziali, tutto ciò potrebbe avvenire in un tempo non molto lontano.

 

Quali sono dunque i cambiamenti da suggerire?

Lasciare alle persone una maggiore autonomia in fatto di scelta dei contenuti da fruire.

Dar loro la possibilità di modificare perlomeno in parte l’edgerank, non limitando la priorità di visibilità a soltanto 30 – tra pagine e profili – come di fatto si può già fare, bensì offrire una timeline personalizzabile come quella del nostro desktop.

Mai come oggi infatti, in questa esasperata elargizione di democrazia social, le persone sentono la necessità di distinguersi e di determinare le proprie scelte, per ritrovare, una volta aperta l’App, le cose che veramente possono interessare, magari organizzate in contenitori, suddivise per argomenti, gruppi e tematiche, in modo chiaro e facile per tutti.

Ci potranno essere contenitori o cartelle per profili di amici che pubblicano tendenzialmente notizie di un certo tipo piuttosto che altre, e ci potranno essere contenitori per chi invece pubblica – e qui voglio utilizzare un termine forte ma che sento spesso – “le solite stronzate” che non abbiamo più intenzione di vedere in modo assiduo, ma solo se proprio lo vogliamo.

Gli utenti dovranno poter commentare o metter il like ai contenuti di qualcuno senza essere per questo subissati di aggiornamenti sulla sua vita, a meno che non siano loro a volerlo.

In sostanza: profilateci pure per la pubblicità, ma non profilateci per farci vivere la vita di chi non ci interessa o per farci vedere le cose che non vogliamo.

Solo così Facebook potrà continuare ad essere sia un Social che un Network, e solo così le persone potranno continuare a coltivare un interesse in questa socialità virtuale.

Masha F.
SMM & Web Communication

 

Fonti: DMR Statistics, Telegraph.co.uk, Vincos.it, Nautilus Italia.

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