Occupandomi di marketing ed essendo stata invitata a perorare la causa a favore della ricerca per la SLA attraverso l’Ice Bucket Challenge, colgo l’occasione per dire ciò che penso riguardo questa iniziativa che sta riscontrando oggi nel nostro paese un forte impatto mediatico.
Dal punto di vista comunicativo non posso che constatare l’efficacia di un’azione fino ad ora geniale e vincente per il semplice fatto di aver promosso la sensibilizzazione attraverso i canali social verso quella che è una malattia neurodegenerativa progressiva di cui si conosce davvero poco e per cui poco si può fare a sostegno di chi ne è affetto.
Grazie ai video delle secchiate diffusi in rete infatti molti si sono informati, sanno qualcosa che prima non sapevano, e tra questi in tanti hanno effettuato la loro donazione in favore di una raccolta fondi per la ricerca nella speranza che in futuro si possa fare di più e soprattutto che un futuro, per chi ne soffre, ci possa essere.
Dunque l’Ice Bucket Challenge è stato ed è tutt’ora un ottimo esempio di marketing virale, ovvero di quel marketing che trova la sua forza nella potenzialità di condivisione attraverso le piattaforme social, sia grazie alle celebrità che ne hanno preso parte, sia perché fa leva su quello che nella piramide di Maslow è considerato il raggiungimento del terzo tra i cinque livelli che identificano i bisogni dell’uomo.
Va a coprire infatti l’appagamento del bisogno di appartenenza e quindi di identificazione nel gruppo (che in questo caso persegue un obiettivo nobile) e che porta di conseguenza al soddisfacimento anche del quarto e quinto livello che sono l’appagamento del bisogno di stima e di realizzazione di una propria identità all’interno di una collettività.
Certo è che questo tipo di marketing applicato ad una causa per la quale dovrebbe elevarsi a garanzia lo Stato ha sollevato le sue polemiche, da una parte dell’opinione pubblica e dall’altra del comitato dei malati di SLA. Nel primo caso in disaccordo, non a torto, con questa continua gara alle migliori e più persuasive campagne pubblicitarie delle associazioni non-profit e delle varie charities, che chiedono donazioni e 5 per mille al pari di quanto fa la Chiesa Cattolica nei suoi consueti spot per l’8 per mille. I secondi sollevando il problema dell’incertezza della destinazione dei fondi raccolti e del fatto che questi siano pochi (ma ricordiamo che poco è meglio di niente), nonché sulla questione che non è corretto supplire alle gravi mancanze delle istituzioni affidandosi ad azioni caritatevoli sporadiche.
Il mio pensiero a riguardo è che quando la causa ci tocca in prima persona è sempre giusta, mentre quando più che la persona tocca le sue tasche c’è sempre qualcosa da ridire.
Va ricordato però che negli anni ’80 tutti cantavano felici in nome del Live Aid senza tante polemiche per quell’Etiopia così lontana, e la cui iniziativa faceva leva sempre sulle stesse corde della solidarietà, seppur il tema fosse diverso. Ma lì non si chiedevano bollettini o secchiate social, si offriva buona musica e si esortava a cantare uniti in nome di un ideale comune.
Ad ogni modo trovo che questi mezzi restino il metodo più efficace per coprire il difetto di uno Stato, ed è per questo che i personaggi politici piuttosto che prenderne parte, in questo caso tirandosi secchiate addosso a favore di una visibilità tutta loro, dovrebbero togliersi dall’azione mediatica e sostenere la causa nel luogo deputato a farlo, ovvero in Parlamento, con provvedimenti concreti a garanzia di una vita dignitosa non solo per questi malati ma per ogni invalido grave.
Per finire dico invece quel che diceva più o meno Oscar Wilde nel suo ritratto di Dorian Grey, ovvero: “nel bene o nel male purché se ne parli”.
Della SLA oggi se ne parla, e chissà, forse parlandone oggi qualcosa domani anche si farà.
Compenso quindi la mia mancata secchiata d’acqua fredda con una donazione, della quale non mi par né virtuoso né corretto svelare l’importo, restando io dell’opinione che la beneficenza è giusto farla e non dirla.
Per il resto: forza ricerca, forza AISLA, e coraggio ai malati di SLA e ai loro familiari.
26 agosto 2014