Si potrebbe scrivere un trattato di psicologia sull’utilizzo di questo espediente che richiama visibilità ad un proprio contenuto o ad una propria foto. Con il rischio di rasentare aspetti inesplorati della patologia clinica.
Perché? Perché personalmente ritengo ci siano cose che vanno utilizzate solo quando si manifesta una necessità, altrimenti non ha molto senso; un po’ come mettersi un cappotto di strass e lustrini se fuori ci sono 40 gradi e noi stiamo andando semplicemente a fare la spesa. Potremmo andarci vestiti normalmente no?
Mi spiego meglio: premesso che l’hashtag è un’etichetta che serve sostanzialmente a marcare un contenuto che vogliamo sia reso immediatamente rintracciabile da altri, il suo utilizzo è logico quando per mezzo di quel contenuto ci lavoriamo e abbiamo la necessità di promuoverlo o promuoverci.
Se però non è questo il caso finiamo anche noi per essere devianti e a nostra volta deviati, o di essere incoerenti o poco ragionevoli.
Ad esempio: se ci troviamo in vacanza a Rimini e scattiamo una foto a nostro figlio seduto sul divano intento a giocare alla playstation, e pubblichiamo la sua foto su un Social personale e che quindi non utilizziamo per la nostra attività professionale, che senso ha contraddistinguere quella foto con venti hashtag diversi che lo identificano come #rimini, come #amore o #tesoromio? Tutt’al più potremmo contraddistinguerlo come #bambino o #playstation, che sarebbero più corretti, altrimenti chi sarà interessato a cercare foto di Rimini e scriverà sulla barra di ricerca #rimini correrà il rischio di trovarsi la foto di nostro figlio seduto su un qualsiasi divano con un joystick in mano, e ditemi voi che attinenza ha tutto questo con Rimini città. Anche niente.
Ma soprattutto, e qui entriamo nella patologia appunto, perché mai dovremmo volere che la foto di nostro figlio entri nel calderone delle ricerche per argomento e che venga visualizzata da estranei? Al fine che questi mettano il “mi piace” alla nostra foto, direte voi. E poi? Quando avremo raggiunto un numero considerevole di mi piace? Cos’avremo vinto? Una batteria di pentole per genitori con qualche problema di stima, questo forse sì.
Un discorso è pubblicare qualcosa a casa propria e lasciare che “gli ospiti” guardino, o sentirsi gratificati se la foto richiama il consenso di chi in qualche modo conosciamo, perché in casa propria ognuno ci mette quello che gli pare e piace. Un’altra è l’aver bisogno di etichettarla e contraddistinguerla affinché venga poi trovata e guardata da più persone possibili, al di fuori della nostra cerchia di follower, per richiamare un generico consenso.
Certo è che se siamo fotografi di professione o se ci serviamo di quella foto o di quel messaggio per promuovere la nostra attività è tutto un altro discorso.
Ma anche in quel caso non utilizzeremmo come stendardo la foto di chi amiamo, almeno spero, o almeno non io.
Masha f.
4 giugno 2013
(Fonte: www.mashafedele.com)